Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

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Scritti e Materiale Vario di Sergio Dalmasso - Quaderni CIPEC

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Bona, Sangue di noi tutti  2011   Torna alle categorie

Giorgio BONA, Sangue di  tutti noi, ed. Scrittura pura, 201

Giorgio Bona, alessandrino, ha tradotto opere poetiche dall’inglese, fiabe dal russo,Fiabe dai Balcani a Vladivostock,  ha composto opere in versi, racconti, romanzi.

Il suo ultimo testo, in forma di romanzo, intreccia fatti storici documentati con pagine, create dall’autore (la vita personale, familiare…) ed è centrato sulla figura di Mario Acquaviva.

Nato nel 1900, operaio, Acquaviva partecipa nel 1921 alla fondazione del Partito comunista d’Italia e ne diviene segretario provinciale ad Asti, negli anni dell’affermazione del regime fascista. Arrestato nel 1926, sconta sei anni nelle carceri di Avellino, Finale, Saluzzo, Fossano… Nel 1931 è espulso dal partito per “frazionismo trotskista”. Nel 1943 aderisce al Partito comunista internazionalista, di impronta bordighiana, critico verso le scelte togliattiane, in particolare la valutazione dell’Unione sovietica e la politica di unità nazionale (la trappola borghese della lotta contro la straniero)che cancella la natura della guerra, scontro tra imperialismi.

Nuovamente arrestato è scarcerato nell’ottobre 1944 e vive alla macchia sino alla Liberazione. Operaio alla Tazzetti di Casale M., tenta di costruire qui e alla Wayassauto di Asti, cellule di fabbrica alternative all’egemonia del PCI; è ucciso, all’uscita dalla fabbrica, l’11 luglio 1945. Lo sconosciuto che gli spara, fuggendo grida: Era un fascista!

La vicenda, politica e personale, è narrata in brevi scene, di taglio quasi teatrale in cui compaiono personaggi realmente esistiti o verosimili, capaci di ricostruire il quadro degli anni di guerra e dell’immediato dopoguerra, sino alla tragica conclusione.

Nessun revisionismo storico. Nessuna stolta equiparazione fascisti/partigiani. Una pagina di storia sconosciuta, rimossa, difficile che ci fa conoscere una figura nobile e coerente, ma ripropone anche la riflessione su tendenze minoritarie nella Resistenza, anarchiche (si veda l’utile lavoro della Rivista storica dell’anarchismo), trotschiste, bordighiste, socialiste di sinistra (le tesi critiche di Lelio Basso).

Se le tesi politiche e storiografiche maggioritarie hanno avuto il sopravvento e relegato nel quasi totale oblio altre opzioni, il lavoro di scavo su queste presenta ancora elementi di grande interesse.

Oltre alle tesi anarchiche, richiamo, per la storia del trotskismo in Italia, gli scritti di Diego Giachetti e di Paolo Casciola e l’analitico La strada percorsa. Dalla Resistenza ai nuovi movimenti: lettura critica e scelte alternative, di Livio Maitan, Massari editore, Bolsena, 2004, per Bandiera rossa,movimento decapitato dal massacro delle Fosse Ardeatine, Bandiera rossa nella resistenza romana, di Silverio Corvisieri, Roma, Samonà e Savelli, 1968, per la torinese Stella rossa, il Partito comunista integrale, e la figura del suo leader, Temistocle Vaccarella, che andrebbe maggiormente scandagliata, gli studi pionieristici di Raimondo Luraghi,  per la contraddittoria realtà meridionale, La costituzione della Confederazione generale del lavoro e la scissione di Montesanto (1943 – 1944),  di Clara de Marco, in “Giovane critica”, n. 27, estate 1971, per uno sguardo complessivo, L’altra resistenza, l’altra opposizione (comunisti dissidenti dal 1943 al 1945), Poggibonsi, Antonio Lalli ed., 1984 e L’altra resistenza. Il PCI e le opposizioni di sinistra, 1943/1945 del compianto Arturo Peregalli, Genova, Graphos, 1991.

Il bel romanzo di Bona, intreccio tra fantasia, documenti storici e testimonianze orali, ha il merito non solamente di riportare alla luce una bella figura, ma di riproporre la discussione su anni focali e le alternative che si posero allora davanti alle sinistre.

Sergio Dalmasso

 

 

Maurizio PAGLIASSOTTI, Chi comanda Torino, Roma, Castelvecchi ed., 2012

La casa editrice Castelvecchi sta editando testi intitolati Chi comanda e seguiti dal nome delle nostre principali città. La finalità è quella di svelare i  veri padroni delle città italiane. A Napoli (commissariamento straordinario, inchieste, leggi speciali, emergenza rifiuti…) segue questo saggio su Torino.

Sono previsti, a ruota, libri su Milano (dagli yuppies degli anni ’80 alla bolla immobiliare dei ’90, dal ruolo delle banche al grande evento di Expo 2015), Roma (capitale in vendita, da Veltroni ad Alemanno, tra costruttori e signori della finanza), Firenze (dominio delle cooperative).

Pagliassotti ha scritto per “Diario” ed è stato giornalista per “Liberazione”, seguendo attentamente Fiat, TAV, Thyssenkrupp, disoccupazione e precarietà.

Nelle sue pagine, si ripercorrono venti anni di storia di Torino, segnate dall’egemonia di un gruppo di potere che ha dovuto affrontare il difficile passaggio da capitale industriale a città basata sulla modificazione urbanistica e sul turismo.

Le Olimpiadi invernali del 2006, capaci di proporre una immagine turistica, sono parse l’occasione per la rigenerazione e il rilancio del capoluogo piemontese.

Per Pagliassotti, il bilancio non risulta positivo.

Molti impianti costruiti per i Giochi invernali sono inutilizzati e pesano sui comuni che li ospitano, l’indebitamento è pesante (l’ex sindaco Chiamparino lo attribuisce non alle Olimpiadi, ma alle tante opere costruite nei dieci anni della sua maggioranza).

La città senza Fiat dovrebbe reggere sul debito e lo “sviluppo”urbanistico, ma la crisi e la recessione hanno inceppato il meccanismo.

Le scelte sono dipese e dipendono da un piccolo gruppo di persone che l’autore tratteggia con ritratti molto efficaci e descrivendo intrecci tra banche, potere finanziario, industria ed espressioni politiche di questo blocco di potere, ad iniziare dalla giunta Castellani che, nel 1993, alle comunali, sconfisse la sinistra dell’ex sindaco Novelli.

Se Torino oggi è molto più bella e ha perduto l’aspetto grigio e triste dei decenni scorsi, questo deriva dalle ristrutturazioni del Quadrilatero, di S. Salvario, dalla migliorata immagine del centro, ma la periferia ripropone annosi problemi aggravati dalla deindustrializzazione e dal moltiplicarsi di nuove e vecchie povertà e dell’  incertezza.

Gli atti della nuova giunta (esternalizzazione degli asili, aumento delle tariffe del trasporto pubblico e diminuzione delle corse, tagli a molti servizi sociali e alla cultura…) sono il segno di una difficoltà, latente da anni ed oggi esplosa.

Latita una reale programmazione economica, sempre decisa dagli istituti di credito. Pare paradossale che il Comune sia il primo azionista della Compagnia di S. Paolo e che Intesa- Sanpaolo sia il primo creditore del Comune. Pare far “quadrare il cerchio” la nomina dell’ex sindaco Chiamparino a presidente della fondazione.

Un testo moderatamente aggressivo, come è stato detto. Uno sguardo d’opposizione sui “padroni della Mole”, come ha scritto “La Repubblica”.

Sergio Dalmasso

 

Learco ANDALO’ (a cura di), L’eresia dei magna cucchi sessant’anni dopo. Storie, analisi, testimonianze, Bologna, Bononia University press, 2012.

Nel gennaio 1951, Valdo Magnani, segretario di una delle più importanti federazioni del PCI, quella di Reggio Emilia, concludeva la propria relazione al congresso provinciale, chiedendo una politica autonoma fra i due blocchi politico- militari, di non soggezione verso l’Unione sovietica, di autonomia nazionale.

Come diceva lo stesso Magnani in una lettera che mi inviava il 27 maggio 1971:

I motivi di dissenso dalla politica del PCI erano riassunti nel rifiuto della teoria e della prassi dello Stato- guida e del Partito- guida, che mi sforzai di tradurre in termini di politica attiva. Da questo rifiuto nasceva naturalmente un ripensamento di molti aspetti della politica del PCI che, almeno da parte mia, non è mai stata rifiutata in blocco, ma criticata fino alla aperta opposizione polemica (date le difficoltà, allora, di una corretta discussione interna), perché sovrapponeva ad una politica positiva, la subordinazione alla strategia dei blocchi con deformazioni non solo nella vita interna del partito, ma nella stessa possibilità di incidenza sulla società italiana e nelle caratteristiche del socialismo per cui lottare in Italia.

La posizione, che oggettivamente anticipava la via nazionale che Togliatti proporrà nel 1956, era allora scandalosa e segnava la sua rottura dal partito. Pochi giorni dopo lo seguiva Aldo Cucchi, eroe della resistenza bolognese.

La rottura dei “magnacucchi”, come furono spregiativamente etichettati, dava vita prima al MLI (Movimento lavoratori italiani), poi, dal 1953, all’USI (Unione socialisti indipendenti), il cui organo di stampa era il settimanale “Risorgimento socialista” (1951- 1957).

Nel 1957, in seguito al processo di autonomizzazione del PSI:

Che aveva tratto conseguenze immediate dal XX congresso (del PCUS) per quel che riguardava la sua autonomia ideologica e politica e che perciò stesso si presentava come naturale punto di raccolta della varie correnti del movimento socialista italiano che non accoglievano in toto le posizioni del PCI (dalla lettera di Magnani sopra ricordata)

l’USI confluiva in questo partito, alla vigilia del dibattito e delle divisioni, al suo interno, sulla formula del centro sinistra, sul rapporto con la DC, sulla valutazione circa lo sviluppo capitalistico italiano…

Diversa la scelta di Aldo Cucchi che aderiva al PSDI di Saragat.

Pochi i testi e gli studi su questo movimento politico. In attesa della pubblicazione della biografia di Magnani, scritta da Mario Giovana, si possono consultare un mio vecchissimo saggio, comparso nel 1973 in “Movimento operaio e socialista” e I magna cucchi. Valdo Magnani e la ricerca di una sinistra autonoma e democratica, a cura di G. Boccolari e L. Casali (Milano, Feltrinelli 1991), atti del convegno di Reggio Emilia (novembre 1989), il primo organizzato sul tema.

Si aggiungono oggi, a questi, gli atti di due giornate di studio, svoltesi a Bologna (30 settembre- 1 ottobre 2011).

Lucio Caracciolo inquadra le vicende del piccolo movimento politico negli anni della guerra fredda, del bipolarismo USA- URSS e della sua ricaduta nel quadro politico italiano. Luciano Casali rilegge il settimanale “Risorgimento socialista” e ne analizza valutazioni e giudizi sui grandi nodi internazionali, dallo scisma di Tito alla denuncia di Stalin, dalla crisi del colonialismo all’emergere dei paesi del “terzo mondo”, dalla denuncia della politica statunitense alla condanna della repressione in Ungheria.

Nadia Caiti ripercorre, a grandi tratti, le vicende politico- organizzative del MLI e dell’USI, dalla fondazione alla partecipazione elettorale alle elezioni amministrative (1952) e politiche (1953), dall’analisi della fragile struttura organizzativa alla confluenza nel PSI.

Interessanti, anche se molto specifici, gli studi sulla presenza dell’USI in alcune regioni (Emilia- Romagna, Puglia, Abruzzo- Molise) e l’analisi del fondo Magnani, depositato presso l’Istituto Gramsci Emilia- Romagna e delle carte delle due sole donne dirigenti del movimento, la torinese Clara Bovero e la napoletana Vera Lombardi.

Significativa l’attenzione dedicata ad Aldo Cucchi, solitamente trascurato e scarsamente valorizzato; il figlio Giuseppe ne tratteggia la figura di partigiano e organizzatore dei GAP nel bolognese, mentre un altro breve scritto riporta alla memoria l’amicizia e la collaborazione con lui dello scrittore Mario Tobino, suo compagno di facoltà, che nel romanzo Tre amici ripercorre il filo del rapporto personale e politico.

Il testo non mi pare aggiungere molto all’importante convegno del 1989, ma ha il merito di riportare alla memoria figure e tematiche di una stagione che ancora merita di essere conosciuta ed analizzata.

Sergio Dalmasso